Il lungo itinerario per la libertà delle donne sul loro corpo. 77,3% di “sì” ad un diritto imprescindibile. Entro 6 mesi la norma che cancella la reclusione.


Un passo indietro.
1975: grazie ad una sentenza della Corte Costituzionale, si stabilì l’illegittimità parziale del reato di aborto.
18 maggio 1981: in prima pagina su L’Avvenire, il titolo <<Anche se milioni d’italiani hanno detto “sì” alla vita sono prevalsi i “no”.>>
Era infatti il 1981, 17 e 18 maggio, quando il 68% di italiani dissero “no” alle modifiche sulla legge 194 del 22 maggio 1978, che tutela maternità e diritto all’aborto.
Mentre per i conservatori l’aborto era considerato omicidio, secondo la maggior parte dei e delle votanti era un passo verso la possibilità di decidere. Un passo verso l’autodeterminazione che le donne stavano faticosamente conquistando dopo decenni – per andar cauta – di storia. Un passo verso la libera gestione del proprio corpo.

E oggi?
Oggi, in Italia, le donne possono interrompere la propria gravidanza volontariamente in una pubblica struttura sanitaria entro i 90 giorni di gestazione. Il diritto si estende, per motivi di natura terapeutica, a quarto e quinto mese di gestazione.
Qual è stato il risultato di questa storica decisione? Che il numero di interruzioni volontarie di gravidanza è praticamente dimezzato rispetto all’inizio degli anni 80, l’utilizzo della pillola anticoncezionale è molto aumentato nel corso degli anni, contribuendo alla costante diminuzione del ricorso all’aborto… ma sopratutto, la pericolosissima usanza di rivolgersi alle cosiddette “mammane” e agli aborti clandestini, è quasi del tutto scomparsa, salvando le vite di tantissime donne che morivano sotto quei ferri da calza e pompe per biciclette.

Ma non è “tutto rose e fiori”.
Esiste la possibilità per il medico di essere obiettore di coscienza e dunque rifiutarsi di praticare l’interruzione della gravidanza. Probabilmente non stupisce, vista la mentalità conservatrice che ancora oggi attanaglia l’Italia. Certo però, è assai discutibile in un Paese che si professa libero e democratico.
Ancora più discutibile è il fatto che nel piccolo Stato di San Marino, nell’anno del Signore 2021, si sia dovuto fare un nuovo referendum per rendere legale l’aborto.
Fino a poche ore da quest’articolo, costituiva reato interrompere volontariamente la gravidanza. Fino a poche ore fa, le donne erano costrette, per praticarlo in sicurezza, a spostarsi in Italia.
Questo perché secondo gli articoli 153 e 154 del Codice penale del 1865, “chi procura un aborto o chi vi concorre rischia dai sei mesi ai tre anni di carcere, con un’attenuante nel caso di gravidanza extra coniugale”.

È possibile pensare che, delle leggi risalenti a centocinquantasei anni fa, ancora decidano delle vite di tante, troppe donne sammarinesi?
È plausibile che, ad oggi, si dia più importanza a qualcosa che, è dimostrato, ancora non è vita – il feto – rispetto a quello che è già vita – la donna -?
Sono, ovviamente, domande retoriche.
Il mondo evolve, la mentalità cambia, anche la morale varia. Le donne hanno finalmente una voce e la usano per ribellarsi ad una società che, sempre a voler essere cauta, è maschilista fino all’osso.
Restare ancorati al passato non fa bene a nessuno, nemmeno ai conservatori che tanto si sentono legati alle loro tradizioni, salvo poi contraddirsi quando queste gli si ritorcono contro.
Questo referendum è stato un passo in avanti, come lo fu quello del 1981. Aspettiamocene tanti altri. Oggi, come allora, c’è aria di cambiamenti.

Giulia Anzani Ciliberti