Cara DAD,
ho saputo che qualche settimana fa ti hanno cambiato nome e adesso ti chiami DID, Didattica Integrata Digitale. In alcuni dialetti della Sibaritide, dove io insegno da una ventina d’anni, Did significa “lui” o “lei”. Così i miei alunni e alunne sorridono sempre quando li esorto ad entrare in DID o a uscirne: sembra quasi che io li inviti a incarnarsi nel corpo di qualcuno, manco fossi un esorcista. È paradossale che in questi giorni tutti siamo di fatto privati del corpo, trasformati in oggetti, reificati dalla digitalizzazione.
Non ti vomiterò addosso la mia solita apocalittica e umanitaria lagnanza contro la scuola a distanza “che non è scuola”, e “l’importanza della relazione in didattica” e tutte le altre cose che ho detto e scritto su di te negli ultimi mesi. E non perché io abbia cambiato idea. Rimango infatti convinto che sia meglio la scuola reale, quella in presenza. Io e centinaia di migliaia di colleghi insegnanti, proprio mentre tanti pediatri si rifiutavano di visitare i bambini e i medici di base non volevano eseguire tamponi, per uno stipendio molto inferiore ai loro, ci siamo infilati per intere mattinate in stanze chiuse con decine di bambini o ragazzini, molti dei quali aventi a casa parenti malati di Covid19.
Abbiamo tenuto le scuole aperte fino all’ultimo giorno di lezione, quando il governo ha dichiarato zona rossa la mia terra e ha bloccato le lezioni in presenza dalla seconda media in su, seguito poi dai sindaci che qua e là hanno chiuso anche tutte le scuole inferiori. Capisco i problemi delle famiglie che non sanno a chi affidare i figli la mattina. Li comprendo ancor di più perché conosco il peso e il valore della prima di tutte le responsabilità di ogni insegnante: la custodia e la tutela temporanee dei minori, in classe, nelle visite guidate, dovunque gli siano affidati. Capisco un po’ meno quei genitori che per i propri figli intendono la scuola come intrattenimento, parcheggio, carcere smart.
Sebbene io sia stato uno dei più accesi sostenitori della riapertura delle scuole e pur di prevenire eventuali contagi abbia tenuto le mie lezioni spesso all’aperto, di una cosa, cara DID, mi sono reso conto nei due mesi in cui abbiamo prestato servizio in presenza: se è vero che tu non sei scuola, non lo era nemmeno quella che abbiamo provato a realizzare nei mesi di settembre e ottobre del 2020, prima della nuova ondata pandemica. La situazione era diventata davvero insostenibile, tra colleghi malati, classi semivuote, viavai di tamponi, clima di tensione, regole di prevenzione del contagio comprensibili e giustificabili ma disumane nell’approccio agli adolescenti. Dunque siamo tornati nel tuo universo parallelo, signora DID. E ho notato, con mio grande stupore, che almeno un terzo dei ragazzi si trova meglio con te che nella didattica dal vivo. Seguono, studiano, partecipano. Questo fatto dovrebbe indurre il mondo della scuola ad aprire una riflessione. In futuro, quando il coronavirus diverrà un tragico ricordo, piuttosto che rinunciare all’insegnamento fisico, potremmo assimilare alcuni degli aspetti costruttivi dell’esperienza virtuale coatta che stiamo vivendo, magari pensando di riorganizzare le scuole per insegnamenti e non per classi formate col criterio anagrafico, abolendo voti e bocciature, inserendo pause tra una lezione e l’altra, concedendo più tempo allo studio individuale o assistito, stimolando quello domestico, prevedendo brevi periodi di interruzione delle lezioni, in cui i ragazzi pratichino gli insegnamenti appresi e soprattutto li socializzino a casa e negli ambienti in cui vivono.
So che le mie proposte non sono realistiche in un sistema scolastico basato su debiti e crediti, adempimenti burocratici aziendalistici, linee guida ispirate dalla Confindustria, manager e riforme scritte da politici che non sanno nemmeno come sia fatta una scuola. Ma di sognare non ce lo può impedire nessuno. Niente può impedirmi, ogni mattina, di aprire le mie lezioni con questa sigla. Proviene da un mondo antico, quando gli eroi dei cartoni animati, pur essendo distanti da noi, ci apparivano vicinissimi, umani, carichi di valori come la giustizia, il rispetto per la natura, la solidarietà, la dignità, la libertà, l’eguaglianza nei diritti. Ma a te cosa può interessare di tutto questo, cara DID? Tu fai parte di un’altra epoca, quella del presente “liquido”. E ogni giorno, invece di farceli vedere in TV, trasformi noialtri in cartoni animati.
Claudio Dionesalvi